PRETORO – Un mestiere intrecciato a nodo stretto a una tradizione gastronomica che racconta dell’Abruzzo, ma che purtroppo è destinato a scomparire. Sono ormai pochissimi gli artigiani che con maestria ancestrale creano la chitarra, il telaio in legno utilizzato per produrre la pasta per eccellenza d’Abruzzo. Gli ultimi rimasti si trovano a Pretoro, piccolo borgo della provincia di Chieti, che custodisce gelosamente i segreti di un prodotto artigianale affascinante e prezioso tanto che nell’800 entrava persino nelle doti delle spose, come testimoniato da diversi atti notarili.
Giovanni Iezzi è uno di loro. Cinquantacinque anni, ha appreso l’arte dal papà e ancor prima dal nonno che lavoravano al tornio. Lui, però, non si sentiva portato per quelle lavorazioni troppo lunghe e così ha deciso di specializzarsi nella chitarra, il telaio le cui corde di acciaio vibrano riproducendo il suono dello strumento, in un arpeggio pizzicato nell’atto di far scendere la pasta.
Da ormai 20 anni nella sua Bottega della Chitarra, Iezzi, che ha due figli, Pierpaolo di 26 anni ed Eliana di 24, si è dedicato a tempo pieno a produrre “lu carrature”, dal nome che deriva da una declinazione dialettale del francese “carrer”, squadrare, seguendo la forma geometrica che assumono gli spaghetti abruzzesi.
“Prima facevo il venditore ambulante di oggetti in legno, tavoli, sedie e altri prodotti – racconta a Virtù Quotidiane -, ma nel frattempo davo una mano nel laboratorio di mio padre. Poi le cose non sono andate bene come dovevano e così mi sono messo a fare la chitarra”.
Un lavoro faticoso, pieno di passaggi e che impegna tanto tempo, ma ormai Iezzi, pur facendo tutto da solo, ha dato vita a una vera e propria catena di montaggio.
Ogni giorno è praticamente dedicato a una fase di produzione per dare vita contemporaneamente a centinaia di chitarre per volta. “Ogni anno faccio una media di 10-15 mila chitarre e ne taglio almeno 500-600 per volta che poi vendo a grandi ingrossi nel nord Italia. Qui nella zona non c’è un grande mercato”.
Le chitarre di Iezzi sono a base di faggio, “ma per gli amatori capita di fare anche qualche chitarra in noce o in ciliegio – confessa – . Si parte da una tavola di 3 centimetri di spessore e si fa un primo taglio a 50 centimetri e poi tanti altri da 10 centimetri larghi passandoli alla scortecciatrice per pulire i bordi ed eliminare le imperfezioni. Poi vengono ritagliate altre sezioni che vengono contornate. Quindi si passa alla sede dove vengono messe le corde in acciaio. Io ultimamente non sto adoperando nessuna vernice e quindi sono naturali al 100 per cento. Realizzo due formati, uno classico da 40 per 22 e un altro che ho creato per variare, più piccolo da 35 per 18”.
Un lavoro di estrema precisione, che tuttavia secondo Iezzi è destinato a scomparire. “Nessuno ha interesse a imparare. Prima solo a Pretoro c’erano almeno una cinquantina di persone che lavoravano al tornio. Oggi a produrre le chitarre siamo rimasti in tre. È un lavoro per cui serve molta pratica e richiede tantissimi passaggi. Io cerco di fare un prodotto il più pulito e rifinito possibile”.
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