a Sant’Angelo di Muxaro nel1907 due operai, nel fare una trincea per incanalare dei tubi, scoprirono una tomba
7 Agosto 2022 // by Elio Di Bella
ANGELO MOSSO 26 Aprile 1908.
Sul versante meridionale della Sicilia, circa trenta chilometri dalla foce del fiume Platani, in linea retta verso il centro dell’isola, fra Girgenti e Sciacca, trovasi Sant’Angelo di Muxaro. Un piccolo comune, dove, nel principio di marzo del 1907, due operai, nel fare una trincea per incanalare i tubi per la conduttura dell’acqua potabile, scoprirono una tomba. Essi erano parenti di certo Francesco Cusomano che in quel tempo stava al mio servizio per gli scavi di Caldare, e subito mi avvertirono.
Mandai sul luogo il sig. Stavros Gialerachis, sopraintendente agli scavi della Missione archeologica italiana in Creta, che aveva preso parte alla mia esplorazione archeologica in Sicilia, e così venni in possesso di questa tomba.
Per andare a Sant’Angelo di Muxaro non vi sono strade, ed anche coi muli, nel mese di marzo, era difficile arrivarvi, tanto sono frequenti le frane che ingombrano i sentieri. Trovai che nel fare una trincea nel monte, larga m. 1.10 e profonda 2 m., erasi aperta una tomba, della quale presi la fotografia che per brevità devo tralasciare. Questa tomba sta su di un pendìo ripidissimo, sopra il quale, alla distanzadi circa quattrocento metri, sono le case di Sant’Angelo di Muxaro: in fondo alla valle scorre il fiume Platani. Di fronte sorge un monte più alto sul quale si trovarono altre tombe e ruine di una città della quale non si conosce il nome.
Il taglio aperto dagli operai in un fianco della tomba era largo m. 1.20 ed alto poco più di mezzo metro. A sinistra di questo taglio, nel fare la fossa pel canale dell’acqua potabile, si aprì il cunicolo che serviva per entrare nella tomba. Esso è di forma triangolare ed ha circa un metro di altezza ed un metro di base. Col taglio della trincea venne esportata la parte più superficiale di questo cunicolo.
Non sappiamo come fosse il terreno quando fu costruita la tomba: essendo di calcare solfifero di color bianco, con impasto di fossili, simile a quello della necropoli di Caldare (A. Mosso, Monumenti antichi, XVIII, 1908, pag. 582. ), certo, uno spessore notevole della roccia fu esportato dalle intemperie; ora il vertice del cunicolo è distante solo mezzo metro dalla superficie del terreno, e questo corridoio scende verso la tomba, il fondo della quale dista tre metri dalla superficie del terreno. Il sepolcro è fatto sul tipo delle tombe sicule più antiche. che venivano aperte sui fianchi ripidi delle montagne, dentro a pareti quasi verticali, dove era difficile l’accesso.
A mezzo metro dall’apertura fatta colla trincea, si trova dentro al cunicolo, ancora in posto, una lastra di calcare, messa verticalmente, che chiude la tomba. Questa pietra di forma triangolare, non poggia in un chiusino lavorato dentro alla roccia, come l’incastro che trovasi in molte tombe della Sicilia, ma semplicemente contro alcune pietre che vi stanno dietro; è tagliata irregolarmente sui bordi ed è spessa 5 o 6 centim. Levate queste pietre, il cunicolo si trova tappato con terra di trasporto, penetrata colle correnti dell’acqua piovana ; come pure la tomba era piena di questa terra rossastra, simile a quella soprastante alla roccia. Il cunicolo è lungo un metro e mezzo, e sbocca sul fondo della tomba.
La volta termina a forno; è larga m. 1.60 nella direzione dell’entrata, e circa 2 m. nel senso trasversale. Un metro è mancante, così che può ammettersi fosse una tomba che aveva il diametro maggiore trasversale all’entrata di metri 3, e di m. 1.60 l’altro.
L’altezza massima della tomba era di 1 metro, e fu scavata nella roccia di calcare solfifero.
Avendo trovato in posto la pietra che la chiudeva, possiamo essere certi che la tomba non fu violata. Sebbene quando io giunsi fosse vuota per metà, mi furono però consegnati tutti i vasi che avevano tolto, e proseguendo lo scavo negli stratiprofondi, trovammo in posto altri vasi cogli scheletri. Potei assicurarmi che molti vasi erano rotti da tempo antichissimo, perchè la frattura era coperta da uno stratocalcareo, come quello che si forma nelle stalattiti per infiltrazione dell’acqua. In questa tomba si trovarono quarantaquattro vasi interi, o poco rotti, insieme a molti frammenti. Tutti questi vasi li ho portati al Museo di Palermo, regalandone sette al Museo preistorico di Roma.
Le ossa erano rimescolate e sconvolte. Alcuni crani avevano la faccia conficcata nella terra, come se guardassero il fondo del sepolcro. Tale posizione basterebbe da sola per dimostrare che gli scheletri furono sconvolti, o che le ossa vennero gettate alla rinfusa nella tomba. Credo che fossero non meno di trenta scheletri, nella piccola cavità di questo ossario, ma non mi fu possibile un calcolo esatto; e neppure ho potuto contare il numero dei femori, essendo le ossa tutte sminuzzate, perchè troppo friabili. I crani non avevano vicino le vertebre del collo, nè le scapole, nè le clavicole, colle ossa delle braccia. Accanto ai femori e anche dentro un bacino, trovai crani infranti.
È possibile che trattisi di una seconda sepoltura degli scheletri, come dai tempi minoici fu in uso, fino verso il mille avanti Cristo, nel bacino del Mediterraneo e anche nell’alto Egitto nell’età neolitica (Petbie e Qdibell, Naqada and Ballas, London, 1896, pag. 32. Per adesso pubblico solo i vasi. Descriverò in altra memoria i crani, parte dei quali trovatisi nel Museo di Palermo, ed altri che erano troppo fragili dovetti con-tentarmi di misurarli sommariamente in posto, dove si sono disfatti cercando di estrarli. Sono grato al Dr. Emanuele Salinas, per l’aiuto che volle darmi fotografando i crani e molti vasi qui riprodotti. ).
Vasetti di steatite e terra cotta, boccali ed anfore.
I vasetti di steatite che trovaronsi negli strati profondi sono certo esotici, perchè tale pietra non si trova in Sicilia ed abbonda in Creta, donde probabilmente furono importati.
II vasetto N. 1, di forma elegante, alto 55 millimetri, ha un solo manico. La fotografia dei vasi N. 1 e 2 è circa la metà del vero. Una linea gira intorno al collo, e da essa si staccano fasci di linee verticali. Sono sei gruppi, dei quali alcuni contengono 5 linee, altri 9 o 10, ed erano piene di una sostanza bianca.
Il vasetto N. 2, pure di steatite, è alquanto corroso, e nel lato destro della figura si vede che è meno rotondo. Cinque fasci di linee verticali sono interrotti nel mezzoda tre linee orizzontali. Anche questo vaso ha un solo manico. Simili a questi, fatti in ceramica, ve ne sono altri otto, dei quali ne presento solo due (figg. 3 e 4).
Il vasetto della fig. 3 è alto 75 mm., più svelto e meno panciuto, ha la medesima decorazione del primo.
Gli altri, come il N. 4, furono decorati per mezzo di semplici linee che formano come dei triangoli sopra la fascia che scorre sul ventre. Questa fotografia è alquantopiù grossa delle precedenti, perchè l’immagine invece della metà è ridotta solo di un terzo.
Le linee graffite, in alcuni, sembrano piene di una sostanza bianca. I motivi del disegno sono prettamente neolitici, perchè consistono in semplici linee rette o spezzate. A mezzo il ventre fu fatta la divisione con una linea incisa, oppure con due o con tre. In uno, sul ventre, vi è una fascia con dentro il solito motivo delle lineespezzate in forma di triangoli : lo stesso motivo si ripete nel segmento superiore : in altri sonovi semplici fasci di linee, e si alternano gli spicchi graffiti accanto ai lisci.
Gli otto vasetti di terra cotta formano una scala crescente che da 7 centim. va a 10,5 centim., tutti con un sol manico.
La Tholos di Haghia Triada, scoperta dalla Missione archeologica italiana, che fino ad ora è la tomba più antica che conosciamo in Creta, contiene già vasi che hanno questa forma (F. Halbherr, ” Memorie Istituto Lombardo „, XXI, 1905, Tav. VII.). Halbherr ne descrisse un altro simile della necropoli di Embrasos, pure di steatite. Ad Hissarlik, Schliemann ne trovò in ceramica nelle rovine della seconda città (Heirich Schliemann’s, Sammlung bescrieben von Hubert Schmidt. Berlin, 1902, N. 2453.), che avevano la stessa forma. Alcuni, come quelli pubblicati da Schliemann, hanno la decorazione a costole, messe verticalmente (Schliemann, Troje, pag. 482, N. 420.), altri hanno pure le linee incise verticalmente come i nostri. Forme simili di vasi in terra cotta trovaronsi sporadiche in varie parti della Sicilia; ne ricordo uno dell’Orsi (” Bullett. paletti, ital. „, XXVIII, 1902, Tav. II.) per la necropoli di Valsavoja. Due altri trovaronsi pure dall’Orsi a Caltagirone (Scavi; R. Accademia dei Lìncei, voi. I, pag. 93.); altri ancora a Pantalica e Cassibile (” Bullettino paletti, .ital. „ 1905, XXXI, 1905, pag. 49. fig. 116.).
Le piccole anfore di questa tomba hanno pure una forma molto antica, identica ai vasi che Schliemann trovò nella seconda città di Troja. Le anse fatte come orecchi di lupo, il collo e la decorazione sono identiche, come si vede nella fig. 5. Le anse di forma triangolare, che si volgono in alto, hanno un foro verticale per la sospensione. La terra è pure nera. La decorazione fatta con linee spezzate, come nei vasi precedenti.
Ne descrivo uno, il N. 5, che è alto 13 contini. Diametro dell’imboccatura 76 min.
L’argilla è ben cotta, rossa alle due superfici e nera internamente fra i due strati.
Nelle anse un foro le attraversa, del diametro di 3 mm., così che poteva sospendersi con una cordicella. È fatta al tornio e decorata a mano, con linee alquanto irregolari e non bene simmetriche. La decorazione consiste in quattro serie di linee ad angolo, due delle quali stanno sopra i manici e due altre da ciascun lato dell’omero.
Una fascia si stacca dalla base dei manici e scorre in giro, limitata in alto e in basso da due linee parallele, e dentro scorrono linee spezzate a zig-zag. Il vaso ha una forma elegante, con collo alto e svasato. Un’anforetta simile, con belle decorazioni a spina di pesce in direzione verticale, esiste nel Museo di Girgenti.
Il vaso N. 6 è più piccolo ed ha il collo rotto. La figura è metà grandezza. Qui i vede bene la sostanza bianca, della quale furono ripiene le incisioni graffite. Anche
qui abbiamo una fascia che divide la decorazione in due campi, fu ripiena con linee parallele messe in serie con direzione opposta. I fasci delle linee verticali non si corrispondono nè pel numero, ne per la posizione.
Un altro vaso simile è alto 15 centim., ed è intatto come quello della fig. 5. Anche questo ha una divisione orizzontale di tre linee incise che attraversano il ventre, passando sotto le anse, fatte come orecchie di lupo, attraversate da un foro verticale di 8 mm. I gruppi di linee che scendono dalla fascia centrale verso il fondo noncorrispondono ai superiori, nè per la posizione, nè pel numero delle linee, che sono 6, 6, 8, 4, 3 linee disposte irregolarmente. Sopra sono sei raggiere o spicchi, invece di cinque, di 6 ad 8 linee.
Il grande vaso fig. 7, simile ai precedenti, lo estrassi dalla tomba già rotto; esso stava, come gli altri vasi, nella parte periferica della tomba. Malgrado la sua grandezza alto oltre 40 centim.), le pareti sono sottili e di solo 3 mill., così che mi costò molta fatica per estrarlo, e lo fotografai appena estratto per timore che portandolo a casa andasse in frantumi. La fig. 7 rappresenta il vaso pieno di gesso, come trovasi nel Museo di Palermo. In questo vaso è bene evidente l’ingubbiatura che forma un sottile strato giallo-avana sulla terra nera. Il diametro interno del vaso in corrispondenza dei manici è m. 0,20 ; altezza fino alla spalla, dove è rotto presso il collo, m. 0,30. Intorno al collo vi sono cinque fascie separate da due linee. Sono sei i vasi di questa forma fra grandi e piccoli : tre di terra rossa e tre neri, solo uno di essi fatto con argilla rossa non ha decorazione.
Allo stesso genere di ceramica appartiene la grande pisside (fig. 8), alta 25 centim., che tolsi intatta fra le ossa ammucchiate, ed essa pure era stata deposta alla periferia della tomba. E alta 25 centim., fatta con impasto di argilla fina rossa: manca il bordo interno dell’apertura, che ha il diametro di 0,135. La terra nei luoghi rotti è nera internamente con piccoli granuli bianchi. Per la cottura lo strato interno ed esterno sono rossi, con grandi macchie brune, dovute all’azione ineguale del calore.
Lo spessore delle pareti è di 8 mm. Sulla base, leggermente incavata di sotto, larga 15 centim., vi sono tre linee orizzontali, poi viene il piede, che è di forma conica e liscio. Quindi sei fasci di linee si volgono in alto verso la fascia che cinge la pisside nella parte più espansa. Come al solito non c’è simmetria nei fasci delle linee, composti di 6, 7, 8, 7, 9 linee.
Una grande fascia di linee a spina di pesce è compresa sopra e sotto fra due linee orizzontali. Il graffito che trovasi in alto sull’orlo è un motivo comune nella ceramica minoica primitiva di Creta (Hogarth and Welch, Primitiv painted Pottery in Crete, * Journal of Hellenic Studies „, XXI, 1901, pag. 78, fig. 30. ), sono triangoli che hanno dentro una serie di linee parallele. Non sono triangoli come quelli che si conoscono col nome di dentidi lupo: questi triangoli isosceli invece di avere la base sulla fascia stanno coricati su di essa con un lato lungo e le linee scendono obliquamente e parallele sulla fascia.
Volendo raffrontare la decorazione di questi vasi coi disegni già noti, dobbiamo risalire all’epoca neolitica ed a quella minoica primitiva. Immediatamente dopo era ancora in uso questa decorazione a spina di pesce che Harriet Boyd trovava a Gournia (Harriet Boyd, University of Pennsylvania , ” Transactions of the Depart. of Archaeology „, vol. I, 1905, p. 180.) sotto le roccie. Anche l’Hogarth trovò in Creta, a Zakro (D. G. Hogarth, Excavation ai Zakro, ” The annual of the British School at Athens VII, 1900-1901), vasi decorati come questo, nella punta estrema, sul lato orientale dell’isola, in scavi che appartengono alle età minoiche più antiche.
Questi disegni di linee spezzate messe in direzione opposta come una spina di pesce, i triangoli isosceli coricati sulle fasce dei vasi e pieni di linee parallele alla base, i denti di lupo, le fasce orizzontali e quelle verticali che dividono la superficie del vaso, appaiono nell’età neolitica in Creta ed in Egitto (Flinders Petrie and Quibell, Xaqada and Balìas.) e non servono come indice cronologico, perchè furono in voga in tutte le età. Lo stesso motivo della fig. 7 trovasi a Troja nella seconda città (Schliemann, Troje, p. 442. Serie II. Tom. LIX. d 2 ) in un vaso che ha le anse del medesimo tipo. Tale decorazione durò fino all’età del ferro e la troviamo nelle urne cinerarie di Grottaferrata (Notizie scavi: R. Acead. Lincei, settembre 1900, pag. 407.).
Il raccogliere queste notizie credo non sia inutile, specialmente per gli archeologi tedeschi, i quali nello studio della ceramica trascurano la civiltà mediterranea e non tengono conto del grande ritardo col quale la decorazione e la tecnica della ceramica superavano le Alpi per diffondersi nell’Austria, nella Germania e nella Svizzera.
Brocchetti (oivoxón) simili alla fig. 9, se ne trovarono dodici, i quali dall’altezza di 32 centim. scendono fino a 10 centim. Questi più piccoli, cominciando da uno alto 20 centim. ed uno di 18, non sono più decorati, ma lisci, come nella fig. 10.
La terra è rossa, fine, ben cotta, ricoperta di una sottile crosta biancastra prodotta dal deposito calcareo dell’acqua penetrata per infiltrazione nella tomba. I vasi sono levigati a mano, ed in alcuni si vedono i colpi del brunitoio. La bocca è trilobata.
Alcuni di questi boccali lisci di terra più rossa li descriverò nel capitolo III.
Altri vasi, della stessa terra e colla medesima decorazione, hanno due manici in forma di piccole anfore, come la fig. 11. Tutti questi boccali ed anfore sono fatti al tornio. Il becco nell’apertura trilobata in alcuni è più stretto, più largo in altri e più sollevato che non sia l’inserzione del manico. La forma di questi boccali è antichissima, e la bocca trilobata si vede già nell’epoca minoica primitiva in Creta; ciò nullameno è noto che nel secondo periodo siculo i boccali trovati a Thapsos, Cozzo Pantano, ecc. hanno l’ imboccatura circolare, mentre quelli del terzo periodo siculo hanno la bocca trilobata come hovaronsi dall’Orsi a Finocchito e Lentini.
Alcuni hanno tracce evidenti di ingubbiatura. Uno, scrostato e senza manico, mostra la terra nera che sta internamente fra i due strati della superficie, che sono rossi. Di brocche o boccali simili alla fig. 9 ve ne sono quattro, che sono decorati allo stesso modo, però con disegni diversi, profondamente incisi. La superficie è ben liscia, e nella cottura, per l’azione ineguale del fuoco, vi rimasero delle macchie rosse sul fondo nero. In alcuni l’argilla, dove fu più forte il calore, prese un color giallo.
Nel vaso della fig. 9 vi è una fascia sul ventre, e lo spazio chiuso fra due linee superiori e due inferiori venne decorato con punteggiature fatte colla stecca, che
rassomigliano ad una spina di pesce. Fasci di sei linee verticali si dirigono dalla fascia verso il fondo del vaso. Nella parte superiore verso il collo, quattro larghe fasce, nella posizione di una V rovesciata, sono pure piene di puntini. Anche qust’ultimo motivo appare nella decorazione dell’età neolitica di Creta. Il boccale è alto m. 0,165, ha la bocca trilobata, col diametro maggiore di centim. 7,5.
Il piccolo boccale N. 10 è alto 8 centim.
L’anforetta fig. 11 è alta 19 cm.; il disegno è un poco più piccolo della metà.
Imboccatura tonda, col diametro di 8 centimetri; fu decorata a cerchietti impressi con uno stampo. Anche qui abbiamo una fascia che cinge il ventre, e sopra di essa poggiano serie di linee in numero di 7 od 8 che formano come triangoli sovrapposti.
Nell’angolo libero superiore si stamparono 4 cerchi concentrici e col medesimo stampo si fecero altri cerchietti nella fascia centrale che quasi si toccano colla periferia.
L’Orsi pubblicò un’anforetta simile (Orsi, Frammenti siculi agrigentini, * Bull, paletti, ital. XXVII, 1901, pag. 259.) di creta grigio-scura, decorata sulle spalle di denti di lupo a stecco e sul ventre di una fascia di circoli concentrici ad impressione.
Uno dei vasi più interessanti è il N. 12, alto m. 0,170. Bocca trilobata, col diametro di 55 min. Più della forma è importante la decorazione di questi boccali ed anfore. Il disegno è in stile arcaico e rassomiglia ai vasi che trovansi nei dolmens.
Una classe dei prodotti fittili neolitici della Valle del Po è costituita dai così detti bicchieri a campana che hanno una decorazione simile al boccale N. 12. Il Colini (Colini, Rapporti fra l’Italia ed altri paesi europei durante l’età neolitica, ” Atti Società romana di antropologia „, 1904.) ricorda che due esemplari si rinvennero nelle tombe di Ca di Marco e ne dà le figure, un terzo proviene dalle tombe di Santa Cristina (Bull, di paletn. „ anno XXV, pag. 30, tav. III.) tanto per citare qualche esempio.
Sul boccale N. 13 la decorazione è pure di tipo arcaico. Nel terreno neolitico di Phaestos trovai la medesima decorazione a puntini (Ceramica neolitica di Phaestos e dell’epoca minoica primitiva. Monumenti antichi, ” Accad. dei Lincei „, Voi. XIX.).
Sulla spalla del boccale N. 13 poggiano serie di linee disposte a triangolo, nell’interno della fascia segnata sul ventre, con tre linee orizzontali per lato, la decorazione è a campi quadrati o rettangolari, pieni di punti messi in serie regolari.
Il boccale 14 fu decorato con maggior varietà di motivi; presso il collo vi è una fascia con linee orizzontali, che contiene una serie di punti. Poi un’altra fascia con linee spezzate che la riempiono. Succede uno scompartimento orizzontale liscio, sotto il quale fra due paia di linee vennero incise coll’unghia, od una cannuccia, due serie sovrapposte di impressioni a mezza luna. Anche questo è un motivo di decorazione neolitica. Nella parte sottostante verso il fondo vi è un altro anello fatto con due linee.
La ceramica ora presa in esame per la decorazione e il color nero dell’argilla ha una rassomiglianza così profonda coi vasi dell’età neolitica trovati nei dolmens e nei fondi di capanna, che dobbiamo analizzarla meglio. Quanto ai cerchietti concentrici, fatti con uno stampo, li troviamo già nella tecnica dell’età neolitica sui vasi di Matrensa, che descrisse l’Orsi, solo che le impronte vennero fatto con uno stampo,
dove quattro linee quadrate concentriche fanno una figura simile ai cerchietti del vaso 11. La decorazione di tre o più cerchi concentrici trovasi nella ceramica di Creta déscritta da Mariani, Antichità Cretesi.
Dell’età minoica ricorderò ancora i vasi con cerchietti sulla spalla, che si trovarono a Phylakopi nell’isola di Milos (Excarations at Phylakopi in Melos, Tav. V.) e quelli trovati in Grecia dallo Tsountas (Tsountas. 1829, Tav. IV, fig. 24.).
A Troja nella prima città, Schliemann rinvenne frammenti di terra cotta lucente con cerchietti concentrici simili a quelli del vaso (fig. 11) e ramoscelli, pure fatti collo stampo (Troje, pag. 290.). Una decorazione simile vènne in luce nei vasi più antichi di Cipro (0. Richter, Cyprus Museum, Tav. X, N. 1114).
E tali cerchietti si trovarono sulla ceramica sicula neolitica di Stentinello e di epoche meno remote (Orsi, Frammenti siculi agrigentini, ” Bull, paletn. ital. », XVI, 1890…; XXVII, 1905, pag. 259.). Siamo dunque dinanzi ad un motivo che appare nell’epoca neolitica e che attraverso le varie epoche si diffonde nel bacino del Mediterraneo, attraversa le Alpi e giunge nelle palafitte (M. Hoernks, Urgeschichte der biìdenden Kunst, pag. 267.).
Si potrebbe credere, vedendo il vaso 12. che l’abbiano decorato per mezzo di una corda messa in giro al vaso ancora molle, la quale fu compressa in modo che lasciasse un’impronta. Io sono convinto che tale impressione venne fatta a mano per mezzo di una punta triangolare, ma di questo parlerò nel capitolo seguente.
In questa tomba vi erano undici coppe, come le figg. 15, 16, 17, che appartengono a tre tipi diversi. La coppa della fig. 15 l’ho disseppellita presso l’entrata: è di terra rossa, alta 22 centim. Fu fatta al tornio, ma di lavoro trascurato, cosi che vedonsi le impronte delle dita nell’argilla molle che girava sulla ruota. È una forma tozza col piede quasi conico e tre righe incise profondamente sul bordo che si alza verticalmente. Un’altra, di forma più slanciata, con piede cilindrico sulla base conica (fig. 16), ha l’orlo superiore svasato. Come questa ve ne sono due; una alta 20 centimetri e 15 l’altra. La cavità delle coppe varia da 28 a 30 mm. di profondità. Troviamo quattro piedi cilindrici e coppe infrante con le rotture incrostate di calcare, ciò che prova siansi rotte nei seppellimenti primitivi. Nella coppa17 il bordo è rovesciato verso l’esterno, ed in basso si vede bene l’ingubbiatura.
Negli strati profondi trovai una coppa fatta a mano, fig. 18, di forma un poco più conica, alta 10 centim., ed un coperchio pure fatto a mano, col diametro di 13 centim., profondità interna 4 centimetri. Entrambi questi pezzi sono di fattura molto rozza.
Questo coperchio, di forma semisferica, ha nella parte centrale superiore un manico fatto da un cordone tondo piegato a semicerchio.
Dalle necropoli costiere l’Orsi ebbe tali coppe alte 35 a 12 centim. Si era creduto fino ad ora che questi vasi fossero destinati a contenere le vivande che si offrivano ai morti (Orsi, Pantalica, Monumenti antichi, Voi. IX, pag. 141, Tav. XIV). Siccome ne scavai una piena di nero fumo, che ora trovasi nel Museo di Palermo, la quale certo ha servito per lampada, perchè ha l’orlo bruciato dal lucignolo, devo supporre che tutte fossero lampade. Non è necessario per questo che tutte portino le tracce della combustione dell’olio, o di materie grasse. Trattandosi di un rito funebre potevano anche metterle nuove senza olio, oppure dell’uso di una sola volta non rimase traccia. Alcune descritte dall’Orsi hanno il piede più alto di queste, ed il piattello è unito al piede con un manico semicircolare. Questa forma più svelta dà loro la forma elevata che hanno le lampade minoiche di Creta.
Vasi simili alla fig. 15 di S. Angelo di Muxaro vennero in luce a Cnossos (A. Evans. The Palace of Knossos, * Annualof the British School at Athens „, N. XI, 1904-1905. pag. 17) e nell’isola di Milos (Excavation at Phylakopi in Melos. London. 1904. Tav. XXXIII), questi, che trovaronsi a Phylakopi, hanno la base più larga, cilindrica e vuota internamente. Altre coppe simili, trovate in Grecia, furono descritte dallo Tsountas con boccali simili per la decorazione a quelli dell’epoca minoica primitiva. Tali coppe sono decorate internamente con linee spezzate che girano intorno al bordo (Tsountas, “Eqnmepiq, 1899, Tav. IX.).
Per la storia della civiltà mediterranea è importante vedere come questa forma di coppe che appare a Cnossos nel primo periodo dell’epoca minoica media si diffonda nell’Egeo e nell’Asia Minore. Il vaso che Schliemann (Schliemann, Troje, pag. 279, N. 60.) credette un incensiere da lui trovato nelle rovine della prima città di Troja. appartiene a questo gruppo delle lampade secondo il mio parere. Certo queste di S. Angelo di Muxaro sono meno antiche; ma dall’Egeo, attraversando la Sicilia e l’Italia, questa forma di ceramica si diffuse verso il nord, e la troviamo in Boemia, nell’Ungheria e nei paesi dei Balcani (Seger. ‘ Archiv fiir Anthropologie ,. V. 1906. pag. 126, Tav. IX, fig. 3.).
Un’altra lampada trovai in questa tomba, fig. 19, ed era probabilmente una lampada di uso comune, non per l’ito funebre. Essa stava nel piano della roccia: ha la
forma di un salvadanaio, che sono vasi di terra cotta con una fessura dentro il quale i ragazzi mettono i risparmi per serbarli. Invece della fessura vi sono tre buchi. Su di essi era attaccato il bocchino pel lucignolo, che probabilmente per tali aperture penetrava nel recipiente pieno d’olio. Questo bocchino si era staccato e lo fotografai accanto alla lampada ; la quale è fatta con due pezzi che si congiungono nel ventre colla superficie semiglobosa. La decorazione è dello stesso tipo arcaico di triangoli minoici predetti, con linee parallele ad un lato. Dal bordo del bocchino appare l’uso continuato che bruciò la terra.
A Troja non si trovarono lampade, eccetto quella che ho ricordato poco sopra: dobbiamo però considerare tale mancanza come un fatto accidentale, perchè esistono in Creta in epoche contemporanee e si adoperavano già nell’età paleolitica nelle caverne della Dordogna (Rivière, La lampe en grès de la Mouthe, ‘ Bull. Société d’Anthrop. de Paris „, 1899, p. 554). L’aver trovato in questa tomba a Sant’Angelo di Muxaro due lampade di forma diversa, dimostra che pel rito funebre erano in uso le lampade di forma arcaica, simili a quelle di Creta, col piede più o meno alto: mentre per l’uso comune adoperavansi lampade di una forma più pratica e facile a trasportarsi, come la fig. 19.
I boccali che ora presento credo siano i meno antichi, non solo perchè stavanonegli strati più superficiali vicini all’entrata, ma anche perchè sono decorati in modo più semplice. Di essi ne trovai una mezza dozzina. Sono boccali con un solo manico, alti 28 a 30 centim., di terra rossa, colla bocca trilobata, come vedesi nelle figg. 20 e 21. Eccetto una fascia sulla spalla, sono lisci ed in alcuni si vede l’ingubbiatura.
La ceramica rossa liscia doveva essere talmente di moda che, oltre l’ingubbiatura di argilla fine, si diede sopra un’altra mano di color rosso mattone. In tutti questi boccali, come nelle figg. 20 e 21, sopra l’inserzione del manico, girano 4 o 5 linee profondamente incise, che sembrano fatte coll’impressione di una funicella.
In alcuni vasi, come nella fig. 20, venne già fatto nella creta ancora molle. un piccolo bordo sporgente, sopra il quale si stende la decorazione incisa. 11 numero delle linee dentate, che rassomigliano all’impressione di una corda, varia nei diversi boccali da 3 a 5. Intorno alla tecnica di questa decorazione mi limito ad accennare lo stato della questione senza pretendere di risolvere il problema.
La prima idea che viene, esaminando tale decorazione (come dissi prima), è che sia fatta per mezzo di una corda compressa sull’argilla molle. In Germania, in seguito alle ricerche di Klopfleisch e di Gòtze (Hoernes, VrgeKchichte der bildenden Kunst, p. 260) si distingue una Schnurkeramik che appartiene all’epoca neolitica. Ho però dovuto rinunciare a tale idea vedendo in uno di questi boccali come termina tale decorazione sotto il manico.
La figura 22 rappresenta un pezzo di tale decorazione in grandezza naturale sotto il manico. Le linee orizzontali sono tagliate da due linee verticali profondamente incise. Anche supponendo che potesse trattenersi la cordicella col dito, qui manca ogni traccia di tale operazione nella creta. Il figulo, che volle imitare un nastro, fece sopra e sotto una linea per delimitare il campo del nastro, e dentro incise quattrolinee dentate che formano la decorazione della fascia.
Si deve pure escludere che abbiano adoperato una corda, quando la decorazione di queste linee seghettate è lunga appena due centimetri. Certo può immaginarsi uno stampo fatto per mezzo di cinque corde\ come vedesi nella fig. 23, ma la cosa è troppo complessa per dar fede ad una simile ipotesi. Ho contato il numero dei denti in questi campi rettangolari della fig. 23 e non si corrispondono, il che prova che non era uno stampo.
Qualche volta le linee non sono diritte, ma oblique e non parallele come vedesi nella fig. 24. Ho voluto riprodurre in grandezza naturale la fotografia del ventre di uno di questi vasi: ed ora esamineremo meglio questo disegno. La cosa, come dissi prima, ha una certa importanza, perchè trattasi di una decorazione caratteristica dei bicchieri a campana, la quale appare nell’età neolitica. L’Orsi la prese già in esame (Bullett. s, XVI, 1890; XVIII, 1892, pag. 33.) ed ammise fosse fatta per mezzo di una rotella girante. Anche Massimiliano Mayer trovò nella ceramica neolitica del Pulo una decorazione simile, che suppose fatta con una rotella girante (Massimiliano Mayer, Le stazioni preistoriche di Molfetta, Bari, 1904, pag. 56.). La tecnica della rotella girante, per fare simili impressioni , venne pure ammessa dal Seger (” Archiv tur Anthrop. „, 1906, pag. 128.), il quale studiò la ceramica della Slesia nell’età neolitica.
Non ho dati sufficienti per approfondire tale discussione. Per conto mio trovo più semplice ammettere, che tali impressioni fossero fatte semplicemente con una punta triangolare, che premevasi leggermente sull’argilla, in modo che le impressioni successive rappresentavano una linea dentata. Nella ceramica neolitica di Cnossos, il Mackenzie (Duncan Mackenzie, The pottery of Knossos , Tav. IX, ” The Journal of Ellenic Studies „>
Voi. XXIII, 1903) trovò non pochi frammenti colla decorazione di linee seghettate fatte con una punta analoghe a queste. Mi conferma in tale concetto il fatto, che nella ceramica neolitica trovata dal prof. Stasi nella grotta della Zinzulusa presso Castro, vidi una decorazione simile con linee sinuose, che certamente era fatta a mano, senza corda. Qualunque sia la tecnica adoperata, è utile affermare che tale decorazione appare in Italia nell’epoca neolitica. Anche i vasi che scavai a Molletta nel terreno neolitico del Pulo, non lasciano alcun dubbio, e cade così l’ipotesi dei paletnologi, i quali credono che i vasi decorati a questo modo, che trovansi nei dolmens, siano un genere di ceramica di carattere e provenienza nordica.
Il medico del Comune di Sant’Angelo di Muxaro, dopo aver assistito allo scavo, mi assicurò che nei suoi poderi nel fare una vigna, si trovarono parecchi boccali di terra rossa come questi ultimi. Un altro proprietario di Sant’Angelo di Muxaro, mi raccontava che egli svuotò una tomba simile, e che vendette i vasi identici a questi, ad un antiquario di Palermo. Questo ci spiega perchè a Palermo e nel Museo di Siracusa, si trovino vasi simili provenienti da Sant’Angelo di Muxaro, e come il prof. Orsi pubblicasse una breve nota sui medesimi.
Età probabile della tomba di Sant’ Angelo di Muxaro.
La ceramica di questa tomba è importante per la tecnica e lo studio della decorazione, perchè quantunque il disegno abbia un carattere neolitico, gran parte dei vasi trovati appartengono al terzo periodo siculo (secondo la classificazione dell’Orsi); cioè all’epoca che precedeva la colonizzazione ellenica della Sicilia. In questa tombanon trovai armi di nessuna qualità, nè oggetti metallici.
Interrogai il Sindaco, il farmacista ed alcuni proprietari, e tutti affermarono che in tali tombe non si trovarono mai oggetti ne di rame, ne di bronzo. Onde per la cronologia dobbiamo affidarci esclusivamente ai raffronti della ceramica. È probabile che in questa tomba si ripeta quanto fu già trovato dall’ Halbherr nella tholos di Haghia Triada, che per lunghissima serie di generazioni si seppellirono i cadaveri nello stesso luogo. Le mie ricerche per stabilire quando furono fatte le prime sepolture in questa tomba, riuscirono infruttuose.
I vasi di steatite forse furono portati da navigatori dell’Egeo che penetrarono lungo il fiume Platani, o sono dovuti alle relazioni colla costa, degli abitanti primi- tivi del paese di Sant’Angelo di Muxai’o. La ceramica di questa tomba accenna ad un periodo abbastanza progredito della civiltà sicula, a quello che l’Orsi chiamò terzo periodo: la presenza dell’ òo”kó? e la prevalenza del boccale sono appunto caratteristiche di esso. Alcuni vasi però sono di epoca anteriore al terzo periodo; come il gruppo delle piccole ollette ad anse acuminate, figg. 5 e 6, alcune delle quali sono di terra nera (così detto bucchero). Anche le coppe col piede sono probabilmente anteriori al terzo periodo.
Qui troviamo le tracce della civiltà sicula, come era prima del mille a. C: il non esservi ancora la cremazione, è un altro argomento per tener alta la data delle ultime sepolture fatte in questa tomba. I boccali del tipo fig. 20 e 21, sono tanto semplici, che non si può credere fossero ceramica che veniva importata. Non posso affermarlo con sicurezza, ma eccettuati i vasetti di steatite, credo che tutta questa ceramica sia fatta in Sicilia. Ce lo suggerisce la meravigliosa ceramica neolitica di Matrensa e Stentinello, della quale fino ad ora è rimasta ignota la provenienza e che dobbiamo credere fosse indigena. Ad ogni modo ritengo che la scoperta della tomba di Sant’Angelo di Muxaro, fu utile per farci conoscere lo stato di civiltà evoluta dei Siculi, prima che arrivassero le colonie greche, e si può stabilire con certezza, che anche nell’interno dell’isola la coltura e l’industria ceramica avevano raggiunto un grado notevole di elevatezza. Dopo gli studii fatti nel terreno neolitico di Phaestos (A. Mosso, Ceramica neolitica di Phaestos e dell’epoca minoica /primitiva. Monumenti antichi. ” R. Accademia Lincei voi. XIX.) e di Cnossos, si può affermare che nell’isola di Creta in età molto anteriore al neolitico dell’Europa centrale, eransi già inventate tutte le forme decorative che troviamo nella ceramica dei dolmens, e che non può accettarsi quanto si è pubblicato sulla pretesa origine settentrionale della Bandkèfamik.
Un fatto singolare, il quale attesta l’influenza della moda, è che la ceramica di Sant’Angelo di Muxaro non sia decorata a colori, e che la gente nel tempo che fuin uso questa tomba, preferisse l’argilla rossa o nera, semplice e liscia, con decorazione di linee incise nello stile arcaico, ripiene qualche volta di sostanza bianca.
Già nel secondo periodo dell’Orsi, si era rinunciato alla decorazione cromatica e si preferivano le terraglie naturali. Tali inversioni e ricorsi nell’arte preistorica, rendono incerte e difficili le ricerche archeologiche.
Categoria: Storia Comuni Tag: grotte di sant'angelo muxaro, sant'angelo muxaro
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